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Il rancore del tempo. Follia, cura e violenza sull'altopiano dogon (Mali)
€ 32,00
Dettagli
FORMATO | Brossura |
EDITORE | Bollati Boringhieri |
EAN | 9788833945026 |
ANNO PUBBLICAZIONE | 2025 |
CATEGORIA |
Scienze sociali Antropologia |
COLLANA / SERIE | Saggi |
LINGUA | ita |
Descrizione
Si può ancora scrivere sui dogon? Dopo decenni di studi - dall'egemonia della scuola di Marcel Griaule alle critiche più recenti - l'antropologia sembrava aver detto tutto sulla vita culturale e religiosa di questa società dell'altopiano maliano. Ma proprio l'idea che una cultura possa essere compresa una volta per tutte è ciò che "Il rancore del tempo mette" in discussione, nella convinzione che ogni sguardo vada riattraversato, ogni racconto riaperto. Antropologo e psichiatra, Roberto Beneduce è stato partecipe e testimone di mutamenti profondi nel corso degli ultimi trent'anni. Le sue ricerche restituiscono ai dogon una voce resistente e inquieta: racconti di guaritori e migranti, di malati e divinatori, che parlano da un luogo segnato dalla violenza, dai conflitti per la terra, dalla guerra e dalle nuove mappe della migrazione. La follia, le terapie rituali, i sogni e i silenzi si intrecciano in un racconto che mentre dissolve la presunta unità della cultura dogon scava nella crisi e ripensa la cosiddetta «medicina tradizionale» come dispositivo di cura e, allo stesso tempo, di memoria e riscatto. Contro l'antropologia di «secondo grado» già denunciata da Jean-Loup Amselle, e in dialogo con il pensiero di de Martino e Lévi-Strauss, Beneduce propone un'etnografia che non si accontenta più di interpretare simboli o rituali, ma si lascia attraversare dalla storia e dall'ascolto. Il suo progetto è scrivere con i dogon, non più su di loro, e costruire insieme strategie di conoscenza anziché accontentarsi di rappresentare l'altro da una distanza sicura. Le silhouette dei dogon, per anni prigioniere dei musei e dei cliché etnografici, tornano a muoversi come soggetti di memoria e di trasformazione. "Il rancore del tempo" è un'etnografia che interroga i suoi stessi strumenti e si fa gesto politico: per restituire complessità a vicende dimenticate, per non mascherare il dolore della storia, e continuare a raccontare - con rigore e rispetto - ciò che resiste e pulsa nell'ombra.