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Descrizione
C'è un tempo che non passa e non invecchia. È il tempo che si fa parola, memoria, nostalgia: quello che Giovanni Saltalamacchia affida alla scrittura, trasfigurandolo in arte. L'immagine del tempo non è soltanto un libro, è una soglia sensibile tra l'essere e il ricordo, una fotografia lasciata in silenzio ad aspettare sul comò immagine evocativa e struggente che basterebbe da sola a definire il tono poetico e la qualità evocativa dell'opera. Saltalamacchia è autore dalla voce solida e riconoscibile, che giunge a questo quarto volume come a un punto culminante di una personale e coerente ricerca. Non a caso, come Leopardi non disdegnava le piccole cose perché il piacere è sempre nello spirito che le guarda, così l'autore riesce a trasformare il dettaglio apparentemente minimo una via di paese, un soprannome d'infanzia, una granita al limone in frammento di eternità. C'è in queste pagine la sapienza dell'affabulatore orale e la cura stilistica di chi conosce il peso e la musica delle parole. Mi affaccio dal lato di Lipari, scrive Saltalamacchia, e l'espressione, apparentemente semplice, apre un mondo: non solo un paesaggio, ma uno stato dell'anima, una geografia affettiva che appartiene a chi ha fatto della memoria una dimora. La sua prosa è lirica senza essere retorica, densa senza mai appesantirsi. Scandita da un ritmo interno che richiama la struttura del poemetto, attraversa i generi senza irrigidirsi in alcuno: diario, narrazione, testimonianza storica, ricordo personale, elegia. È, come scrisse Pavese, la scrittura di chi ha capito che ciò che si è perduto è l'unica poesia. E in effetti, Saltalamacchia non narra solo ciò che è stato, ma soprattutto ciò che resiste, nonostante tutto. Resiste il sapore di un gelato mangiato tra amici, il nome di una barca affondata, il rumore di un pallone rimbalzato contro la saracinesca di una bottega chiusa.